Ben ritrovati e buon 2019!
Con questo post concludiamo la rassegna dedicata ai 7 nemici della felicità, partendo dal una vignetta di Charlie Brown, famoso personaggio dei Peanuts di Charles Schulz:
Queste poche battute rappresentano in pieno l’essenza della mortificazione della propria felicità. Charlie ha notoriamente paura di essere felice perché dopo qualcosa di positivo arriverà inevitabilmente un evento negativo; la felicità avrà sicuramente il suo prezzo da pagare…Questo timore è ciò che risulta bloccante per molte persone, come una zavorra che impedisce a una mongolfiera di librarsi in cielo. Meglio una nota e consolidata tristezza che un’innovativa e sconosciuta felicità.
Spesso ricordo – a costo di suonare retorica!- che già il solo fatto di svegliarci dopo aver dormito con un tetto sulla testa, alzarci e avere la disponibilità di cibo e acqua potabile dovrebbe renderci felici. Il nostro Charlie Brown ha intorno a sé una famiglia che lo ama (Snoopy incluso), amici e un certo benessere economico che gli permette di andare a scuola, vestirsi, lavarsi, alimentarsi…
Quando non siamo grati per ciò che abbiamo stiamo mortificando la nostra felicità. La sviliamo, rendendola un accessorio di serie B, qualcosa da appoggiare in un angolo e dimenticare subito dopo.
Quando è stata l’ultima volta che hai espresso gratitudine per uno o più aspetti della tua vita? Prendi un quaderno e ogni sera scrivi almeno 3 cose per cui sei grato/a nella tua vita; ripeti questa operazione per 10 giorni e se ti va, commenta qui sotto ( o in privato) come ti senti sentito/a.
Come detto all’inizio della serie, non ho ben chiara una definizione oggettiva di felicità, ammesso che esista. Ognuno in cuor suo ne ha una che gli risuona un po’ di più delle altre ed è giusto che rimanga personale. Ho individuato 7 macro categorie di nemici ma sicuramente potremmo aggiungerne altre: sarò ben lieta di leggere i vostri consigli.
Per chiedermi ulteriori informazioni e/o fissare un colloquio ( in studio a Torino o, a seconda dei casi, in videoconsulenza), puoi contattarmi tramite questa pagina.
La sensazione di non essere mai abbastanza è riferita a una qualche caratteristica o competenza che reputiamo di non soddisfare ( bellezza, intelligenza, ricchezza, capacità di fare nuove amicizie,..) o a qualcosa che non riceviamo ( gratitudine, affetto, amore, rispetto,…). L’accento è sempre su quello che manca.
Chi stabilisce il livello minimo da soddisfare? Nella maggior parte dei casi siamo noi stessi, su parametri derivati dalla nostra esperienza. Ad esempio, dopo una storia d’amore finita male ( e ancor di più se tra i nostri amici fioriscono nuove coppie e perché no, annunci di matrimoni e gravidanze ) qualcuno potrà sentirsi di non essere abbastanza perché “tutti hanno trovato l’anima gemella e io no”. Poco importano contesto e soggettività: in questi casi “tutti” hanno più di noi, valgono di più e ottengono di più.
Una mentalità centrata sulle mancanze sarà sempre insoddisfatta e tesa al confronto (improduttivo) con gli altri. Non elabora strategie di crescita perché è troppo impegnata a compiangersi per ciò che non ha e che non avrà mai, arrendendosi in partenza.
La felicità non è una competizione: ogni persona proviene da un suo contesto di vita e ha obiettivi diversi. Finché ti paragoni agli altri troverai sempre qualcosa che non hai o che non sei, anziché pensare a quanto vali e a quanto sei fortunato/a per ciò che hai!
Non solo vali abbastanza: vali moltissimo e hai il diritto/dovere di usare al meglio le tue risorse.
C’è qualche ambito in cui pensi di valere meno rispetto a una persona che ammiri? Pensa a cosa puoi imparare, fissa un obiettivo realistico e le tappe per raggiungerlo, tenendo sempre a mente quanto vali.
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Ciascuno di noi reagisce in modo differente dopo aver commesso un errore. Qualcuno trova insopportabile la sola idea di sbagliare e quindi fa finta di nulla, c’è chi si assume le sue responsabilità e tenta di rimediare e chi ancora si colpevolizza in maniera sproporzionata.
Il senso di colpa è ciò che ci dice che abbiamo sbagliato rispetto a un qualcosa di atteso o normato, socialmente o internamente. Non è necessario che ciò accada davanti a un pubblico ( come succede invece per il senso di vergogna, che si prova in relazione a qualcuno). Funziona un po’ come un avviso che ci spinge a riparare quanto fatto o non fatto; è la molla che ci spinge a chiedere scusa, a migliorarci e ad essere più attenti in futuro.
Se diventa sproporzionato in termini di tempo e intensità, questo avviso diventa un macigno che ci ostacola, spesso attraverso il rimuginio. Avremo paura del ripresentarsi di condizioni simili e il timore di sbagliare ancora ci impedirà di agire.
Mantenere il focus concentrato sui propri errori a lungo, senza spostarlo sulle azioni riparative è inoltre un dispendio di energie. Ha più senso piangersi addosso o provare a cercare una soluzione?
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Su questo pianeta siamo circa 7 miliardi, siamo tutti diversi e pertanto unici.
Il problema è quando la diversità anziché creare un valore aggiunto e una ricchezza diventa motivo di preoccupazione e divisione.
Senza tirare in ballo temi politici e sociologici ( che meritano una trattazione più ampia e completa di quanto sarei in grado di fare) soffermiamoci su quei piccoli momenti della quotidianità in cui il timore di essere diversi ci allontana dalla felicità.
Quasi tutti da bambini e ragazzi avrete avuto la seguente esperienza di notare come i gruppi dei parei tendano a uniformarsi: abbigliamento, gadget, gusti musicali,… questo avviene perché l’approvazione del gruppo è importante in determinate fasi della crescita.
Da adulti teoricamente non dovremmo avere più questa necessità, a patto però di nutrire sufficiente stima di sé. La carenza di autostima infatti ci porta a dipendere dal giudizio altrui, cercando approvazione. Tendiamo a uniformarci e a piegarci su ciò che riteniamo sia comunemente accettato e condiviso dalla maggioranza delle persone che riteniamo importanti.
Un po’ come vestirsi sempre di nero anche se amiamo il giallo, solo perché lo fanno gli altri attorno a noi e quindi crediamo che si aspettino altrettanto.
Eppure la storia ( così come la scienza, l’arte…e anche la psicologia!) è fatta di personaggi che hanno sfidato i pregiudizi, hanno tracciato nuove strade inseguendo le loro idee e lottando per esse.
Il timore della propria diversità rende passivi e la passività è nemica della felicità!
Quando è stata l’ultima volta che hai fatto qualcosa di diverso da chi ti circondava?
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Il nemico della felicità del quale parleremo oggi è un po’ più “subdolo” e nascosto dei precedenti due. Più che un singolo ostacolo potremmo definirlo come una serie di comportamenti/azioni che ci tengono ancorati in maniera improduttiva a ciò che è ormai passato o a ciò che – forse – potrebbe succedere.
Con il termine rimuginio definiamo un’insieme di preoccupazioni negative e ripetitive. In alcuni casi può diventare particolarmente intrusivo della quotidianità, specie se avviene in maniera quasi incontrollata e costante, come ad esempio nei disturbi d’ansia, del comportamento alimentare o negli stati depressivi.
Questo non significa che la tendenza a riflettere sullo stesso argomento – specie se importante – sia necessariamente patologico. Allo stesso tempo, una certa tendenza al rimuginio può portarci a ingigantire percezioni negative, amplificando il pessimismo e l’immobilità di fronte a una decisione da prendere o il rimpianto/ rimorso per quanto già successo. Alle trappole del pensiero ” E se…?” ho dedicato qualche tempo fa un articolo su PsicologiOnline.
Vuoi imparare a rimuginare di meno? Prova a scrivere ciò che ti preoccupa su un post-it, mettilo via e rileggilo dopo un’ora. Poi dopo un giorno, e infine dopo una settimana. Cosa noti? La tua preoccupazione si è modificata? Fammi sapere nei commenti ( o se vuoi in privato) se hai provato questo piccolo esercizio e com’è andata!
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Ben ritrovati!
La scorsa settimana abbiamo inaugurato la serie di post dedicati ai “7 nemici della felicità”: oggi tocca alla paura del cambiamento. Anche a questo tema avevo dedicato un approfondimento in precedenza QUI .
Il cambiamento non è un traguardo di per sé; è un processo che ci conduce a una nuova fase della vita e che perciò può richiedere uno sforzo più o meno grande. A volte ci spaventa e vorremmo che a cambiare fossero gli altri, ovviamente nella direzione a noi auspicata. Solo imparando ad assumere un ruolo attivo nella vostra vita potremo aspirare a raggiungere i traguardi che ci prefissiamo.
E tu, cosa vorresti cambiare? C’è qualcosa che accetti passivamente sperando che siano gli altri a cambiarla per te?
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Parliamo – e scriviamo tanto – di come raggiungere la felicità, come se fosse uno stato univoco, uguale per tutti e con un’unica ricetta da mettere in atto.
Io non so bene come definire la felicità, ammesso che sia possibile, però ho qualche idea su ciò che la ostacola e la contrasta. Ho riassunto questi “nemici” in sette categorie ( mi piacciono gli elenchi, ormai lo sapete!) e a ciascuno di essi dedicherò un post:
La continua ricerca di approvazione;
La paura del cambiamento;
Il rimuginio;
Il timore di essere diversi dagli altri;
L’autopunizione eccessiva dopo un errore;
Pensare di non essere mai abbastanza;
La mortificazione della propria felicità.
Partiamo quindi dal primo punto della lista: la continua ricerca di approvazione. Sui suoi rischi e conseguenze ho dedicato un post tempo fa, potete leggerlo QUI.
Cercare di piacere a tutti significa non essere quasi mai se stessi; in certi casi non siamo nemmeno più abituati ad auto-ascoltarci perché conta solo l’opinione altrui.
E tu, ti piaci? O cerchi solo di piacere a chi ti circonda?
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Nei periodi in cui siamo maggiormente stressati, disorientati e pensierosi, la qualità del sonno tende a peggiorare: per qualcuno si tratterà di insonnia, per altri di sonno disturbato da frequenti risvegli, altri ancora faranno incubi per cui si risveglieranno più stanchi di prima (per alcuni suggerimenti su come addormentarsi meglio vi rimando a un precedente articolo)
Parafrasando un celebre personaggio della televisione italiana, potremmo viceversa affermare che i sogni aiutino a vivere e a dormire meglio. Infatti, secondo quanto emerso da una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Sleep science and practice , avere uno scopo nella vita agevolerebbe la qualità del sonno. In particolare, nello studio sono emersi miglioramenti in coloro che soffrivano di insonnia.
Avere un obiettivo ci rende entusiasti, indipendentemente dal suo valore oggettivo. I traguardi che ci prefissiamo, siano essi “grandi” o “piccoli”, ci fanno sentire vivi, focalizzati, energici. Possono riguardare l’ambito personale, lavorativo, familiare, relazionale,… l’importante è che abbiano per noi stessi un significato. Si tratta di avere una luce guida, una stella polare.
Spesso mi sento dire che non è così immediato trovare uno scopo nella vita: alcune persone, specie nei momenti di maggior sofferenza, mi dicono che la loro intera esistenza appare priva di senso. In questi casi il mio consiglio è di partire da un obiettivo, anche piccolo, della quotidianità e che magari era stato accantonato in precedenza, come ad esempio:
riprendere o cominciare un nuovo hobby: leggere, scrivere, cucinare, disegnare, scattare fotografie, coltivare una pianta,… l’importante è che si tratti di un’attività che generi in noi gioia nel momento in cui la eseguiamo, indipendentemente dalla performance raggiunta. Dipingere con gli acquerelli vi fa sentire felici anche il risultato è esteticamente brutto? Avete un manoscritto che non vedrà mai la luce fuori dal cassetto del vostro comodino? Riprendete queste attività e immergetevi nelle emozioni positive che vi fanno provare.
avere cura di sé: a chi è già in terapia, ricordo che questa scelta rappresenta una pietra miliare in questa categoria e che il resto verrà quasi in automatico! Molte persone, soprattutto donne, mi dicono di vergognarsi anche solo a pensare di mettersi lo smalto alle unghie in un momento di così tale sconforto. Invece è proprio nei momenti peggiori che dobbiamo imparare ad amarci e a volerci bene, mentalmente, spiritualmente e fisicamente, quindi ben venga la cura del proprio aspetto: un nuovo taglio di capelli, un bagno caldo e profumato a casa, un vestito colorato,…
riscoprire la socialità offline: in un’epoca in cui ci basta un clic per contattare tutto il mondo, molte persone rinunciano a interazioni sociali reali perché non hanno persone disponibili oltre lo schermo. Sono tutte quelle situazioni in cui pensiamo: “c’è questo concerto/spettacolo/mostra interessante ma non trovo nessuno che voglia venire con me…”. Se è pur vero che non possiamo pretendere di avere sempre qualcuno con i nostri stessi identici gusti, è importante imparare a fare ciò che ci piace, senza il timore di essere giudicati perché ci rechiamo da soli a un evento. C’è la presentazione di un libro interessante? Partecipate, potrebbe essere un ottimo contesto in cui incontrare persone nuove, unite dalla vostra stessa passione.
Man mano che la nostra vita si riempe di questi micro-obiettivi, possiamo (ri)cominciare a ragionare anche in termini di macro-obiettivi , cioè quei progetti più a lungo termine e che richiedono maggiore investimento emotivo, temporale e anche di risorse. Rientrano in questo gruppo l’inizio di un nuovo percorso di studi, la ricerca di lavoro, l’acquisto di una casa etc.
Per individuare il nostro scopo nella vita dobbiamo prima farci alcune domande:
che cosa mi appassiona?
che cosa mi da energia?
quali sacrifici sono disposto/a a fare per raggiungere il mio scopo?
a quali risultati (realistici) voglio aspirare?
Una volta delineato il nostro obiettivo, sarà importante crearci una rete di sostegno, cioè l’insieme di quelle persone che hanno fiducia in noi e ci sosteranno nel nostro cammino, anche dicendoci cose che non vorremmo sentire ma di cui abbiamo bisogno.
Altra categoria di persone importanti sono gli ispiratori, ovvero coloro che prima di noi hanno raggiunto un obiettivo simile e che possiamo prendere come esempio (che non vuol dire copiare in maniera acritica!), anche se non li conosciamo in maniera diretta.
Bene, il mio obiettivo di oggi era scrivere questo articolo e sistematizzare un insieme di pensieri che aspettavano di trovare una sistemazione. E chissà che queste parole non abbiano innescato una piccola scintilla a voi che leggete: attendo i commenti con i vostri micro/macro obiettivi! 🙂
Sei in una fase di indecisione della tua vita? Senti la necessità di un cambiamento? Puoiprenotare un colloquio presso il mio studio telefonando al numero 3454551671 o compilando questo modulo.
Ho meditato a lungo se pubblicare o meno questo post perché quando si parla di “dolore” e “alibi” è facile essere fraintesi. Poi ho pensato che questo rischio merita di essere corso e affrontato cercando di essere il più chiara possibile.
Come potrete immaginare, per lavoro ho a che fare con una certa quantità di dolore al dì, in forme più o meno tangibili. Il dolore insostenibile spesso è la causa per cui le persone mi chiamano e, giustamente, vorrebbero alleviarne il peso. Molto altro dolore mi circonda nelle interazioni quotidiane extra lavorative.
Tutti abbiamo sofferto e – temo non sia altrimenti – ancora soffriremo nella vita, chi più chi meno. A fronte di un evento oggettivamente simile, gli effetti soggettivi sono diversi.
Fare la classifica del “chi ha sofferto di più” lascia il tempo che trova. Non è una gara, è la vita.
Quando utilizziamo il dolore per sottrarci alle sfide della vita, per ferire chi ci vuole bene, sabotare noi stessi,… non facciamo altro che alimentare un fuoco che ci danneggia e che alla lunga potrebbe far male a chi cerca di starci accanto. Aggiungiamo legna da ardere e poi ritraiamo la mano, come se fossimo animati da una forza invisibile che ci fa dire “ma io sono fatto così, che cosa posso farci…ho sofferto tanto…”. Per quanto tempo ancora vogliamo alimentarlo?
Il dolore non va nemmeno negato, fa comunque parte di noi e di ciò che siamo. Le situazioni difficili ci insegnano sempre qualcosa, che sia imparare a riconoscerle o comprendere come affrontarle. L’utilizzo per così dire “improprio” della sofferenza è in quella passività per cui pensiamo di non potercela mai più scrollare di dosso.
Il miglior amico della sofferenza è, per l’appunto, l’immobilità.
Le cicatrici ci ricordano che siamo sopravvissuti, che ce l’abbiamo fatta nonostante tutto e tutti. Ci sono stati giorni di buio che non sembravano passare mai e lacrime che non smettevano di scorrere. Quale miglior modo per onorarle, se non tornare a vivere?
In psicoterapia si lavora per rielaborare gli eventi dolorosi e le emozioni ad essi connessi. Chiedere aiuto è un punto di svolta fondamentale per riappropriasi della propria vita anziché farla fluire in maniera passiva. Per fissare un colloquio pressoil mio studio a Torino ( o, a seconda dei casi, in videoconsulenza) telefonare al numero 3454551671 o compilare questo modulo.
Nel 2014 un gruppo di ricercatori dell’ UniversityCollege di Londra aveva cercato di misurarla matematicamente, formulando l’ equazione della felicità . La formula ottenuta evidenziava il ruolo delle aspettative.
Questa ricerca è stata portata avanti e i risultati aggiornati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature Communication: a influenzare la nostra felicità è anche la percezione di eventuali disuguaglianze tra le persone che ci circondano.
Lo studio ha coinvolto 47 partecipanti che non si conoscevano prima di allora e che sono stati suddivisi in piccoli gruppi. Ogni gruppetto doveva portare a termine una serie di compiti: in uno di questi veniva richiesta la disponibilità a dividere una piccola somma di denaro in maniera anonima con un altro partecipante; in un altro era prevista una piccola scommessa monetaria dove veniva comunicato sia il risultato proprio che quello dell’altro partecipante. Quindi ciascuno sapeva quanto aveva vinto o perso per sé e quanto aveva vinto o perso l’altro. Nel corso dell’esperimento veniva “misurato” a intervalli regolari il livello di felicità.
I risultati hanno mostrato che la generosità non dipendeva tanto dalle preferenze verso una persona quanto a caratteristiche proprie di personalità. Coloro la cui felicità era influenzata dalle avverse sorti altrui tendevano a essere più generosi, donando circa il 30% del denaro. Al contrario, chi era meno felice quando otteneva meno degli altri donava solo il 10%. Gli autori ipotizzano che questi risultati possano essere correlati rispettivamente a senso di colpa e a invidia.
“ I nostri risultati suggeriscono che la generosità verso gli estranei è legata a quanto la nostra felicità risente dalle ineguaglianze che sperimentiamo nella nostra vita quotidiana. – dichiara Archy de Berker dell’UCL Institute of Neurology- ” Questa è la prima volta che la generosità delle persone viene collegata direttamente a come la disuguaglianza influenza la loro felicità. Gli economisti hanno auto difficoltà a spiegare perché alcune persone sono più generose di altre e il nostro esperimento fornisce una spiegazione. ”
La nuova formula della felicità:
La prima riga era stata precedentemente formulata e contemplava le tre variabili (w):aspettative, riconoscimenti attuali e risultati passati. La seconda riga aggiunge le due variabili legate a senso di colpa e invidia nei casi di disuguaglianza.
Un ulteriore evoluzione di questa ricerca, concludono gli autori, potrebbe essere un utilizzo del compito per misurare l’empatia ed aumentare quindi la conoscenza scientifica riguardo ai disturbi di personalità in cui sembra essercene un deficit, come ad esempio il disturbo borderline.