Perché ci sono persone che alla prima dieta ottengono risultati, e altre che dopo anni non riescono a trovare un miglioramento?
Perché alcuni riescono a stabilizzarsi sul peso forma e altri invece riprendono ( magari con gli interessi) i kg persi?
Queste e altre domande faranno da spunto durante l’evento Perché non riesco a stare a dieta? che si terrà venerdì 27 settembre dalle 18:00 alle 19:30 presso il mio Studio in Torino.
Per motivi organizzativi e di capienza della sala è richiesta l’iscrizione anticipata al costo di 15 euro. Potete acquistare il vostro posto tramite la piattaforma Eventbrite oppure contattandomi tramite i recapiti presenti in questa pagina per conoscere le altre modalità di pagamento disponibili.
Anno nuovo, vita nuova.
Quanti di voi sono stati tentati e hanno stilato la famosa lista dei buoni propositi? Mangiare sano, iscriversi in palestra, riordinare casa più spesso, etc etc.
Non che io ne sia immune, anzi: stilo continuamente questo genere di elenchi e puntualmente rimangono sulla carta.
Al contrario di ciò che comunemente pensiamo, il problema non è (solo) la forza di volontà. Diciamocela tutta, spesso in queste liste inseriamo obiettivi quasi dettati da un automatismo, spesso irrealistici. Come si suol dire, ce la cantiamo e ce la suoniamo.
Personalmente, per questo 2019 ho decido di abbandonare questa visione per abbracciarne un’altra più pratica. Ho deciso di scegliere delle macro aree, dividerle in sotto obiettivi realistici e cercarli di raggiungerli uno alla volta.
Cercherò di spiegarmi meglio con un esempio lavorativo pratico. Gli scorsi anni di questi tempi buttavo giù una lista della frequenza e dei portali su cui volevo scrivere articoli divulgativi di psicologia, oltre all’aggiornamento di questo blog. Non era nemmeno finito gennaio che già mi rendevo conto che la cosa non era fattibile né in termini di tempo né ( soprattutto) in termini di qualità dei contenuti. Ho capito che per scrivere bene ho bisogno di raccogliere le idee e che la scelta del portale più idoneo avverrà per me ad articolo concluso, valutando di volta in volta la strategie più opportuna. L’unico impegno settimanale che mi prefiggo continuerà ad essere PsicoLinee!
Credo che la medesima strategia si possa applicare ad altre situazioni; prendiamo ad esempio la famosa affermazione “andrò due volte alla settimana in palestra“. Si tratta di un grande classico dei buoni propositi per l’anno nuovo, tant’è che a gennaio le palestre si riempono di iscritti che puntualmente disertano il mese successivo! Questo perché molti si sentono “in dovere” di curare la forma fisica senza domandarsi se è ciò che realmente desiderano e con quali modalità e tempi. Ad esempio, qualcuno potrebbe scoprire che gli è più congeniale concedersi una bella passeggiata al parco, oppure iscriversi a un corso di yoga, in piscina,…
Il mio consiglio è porsi questa serie di domande:
è quello che voglio veramente o sento di doverlo fare?
quale risultato voglio ottenere?
è concretamente realizzabile?
è possibile scomporlo in micro obiettivi?
Il tutto tenendo conto che la vita è fatta di imprevisti: ogni buon piano contempla le varianti B, C, D…
Se tra i tuoi buoni propositi del 2019 c’è quello di rivolgerti a uno psicologo, puoi chiedermi ulteriori informazioni e/o fissare un colloquio ( in studio a Torino o, a seconda dei casi, in videoconsulenza), contattandomi tramite questa pagina.
Ben ritrovati e buon 2019!
Con questo post concludiamo la rassegna dedicata ai 7 nemici della felicità, partendo dal una vignetta di Charlie Brown, famoso personaggio dei Peanuts di Charles Schulz:
Queste poche battute rappresentano in pieno l’essenza della mortificazione della propria felicità. Charlie ha notoriamente paura di essere felice perché dopo qualcosa di positivo arriverà inevitabilmente un evento negativo; la felicità avrà sicuramente il suo prezzo da pagare…Questo timore è ciò che risulta bloccante per molte persone, come una zavorra che impedisce a una mongolfiera di librarsi in cielo. Meglio una nota e consolidata tristezza che un’innovativa e sconosciuta felicità.
Spesso ricordo – a costo di suonare retorica!- che già il solo fatto di svegliarci dopo aver dormito con un tetto sulla testa, alzarci e avere la disponibilità di cibo e acqua potabile dovrebbe renderci felici. Il nostro Charlie Brown ha intorno a sé una famiglia che lo ama (Snoopy incluso), amici e un certo benessere economico che gli permette di andare a scuola, vestirsi, lavarsi, alimentarsi…
Quando non siamo grati per ciò che abbiamo stiamo mortificando la nostra felicità. La sviliamo, rendendola un accessorio di serie B, qualcosa da appoggiare in un angolo e dimenticare subito dopo.
Quando è stata l’ultima volta che hai espresso gratitudine per uno o più aspetti della tua vita? Prendi un quaderno e ogni sera scrivi almeno 3 cose per cui sei grato/a nella tua vita; ripeti questa operazione per 10 giorni e se ti va, commenta qui sotto ( o in privato) come ti senti sentito/a.
Come detto all’inizio della serie, non ho ben chiara una definizione oggettiva di felicità, ammesso che esista. Ognuno in cuor suo ne ha una che gli risuona un po’ di più delle altre ed è giusto che rimanga personale. Ho individuato 7 macro categorie di nemici ma sicuramente potremmo aggiungerne altre: sarò ben lieta di leggere i vostri consigli.
Per chiedermi ulteriori informazioni e/o fissare un colloquio ( in studio a Torino o, a seconda dei casi, in videoconsulenza), puoi contattarmi tramite questa pagina.
Su questo pianeta siamo circa 7 miliardi, siamo tutti diversi e pertanto unici.
Il problema è quando la diversità anziché creare un valore aggiunto e una ricchezza diventa motivo di preoccupazione e divisione.
Senza tirare in ballo temi politici e sociologici ( che meritano una trattazione più ampia e completa di quanto sarei in grado di fare) soffermiamoci su quei piccoli momenti della quotidianità in cui il timore di essere diversi ci allontana dalla felicità.
Quasi tutti da bambini e ragazzi avrete avuto la seguente esperienza di notare come i gruppi dei parei tendano a uniformarsi: abbigliamento, gadget, gusti musicali,… questo avviene perché l’approvazione del gruppo è importante in determinate fasi della crescita.
Da adulti teoricamente non dovremmo avere più questa necessità, a patto però di nutrire sufficiente stima di sé. La carenza di autostima infatti ci porta a dipendere dal giudizio altrui, cercando approvazione. Tendiamo a uniformarci e a piegarci su ciò che riteniamo sia comunemente accettato e condiviso dalla maggioranza delle persone che riteniamo importanti.
Un po’ come vestirsi sempre di nero anche se amiamo il giallo, solo perché lo fanno gli altri attorno a noi e quindi crediamo che si aspettino altrettanto.
Eppure la storia ( così come la scienza, l’arte…e anche la psicologia!) è fatta di personaggi che hanno sfidato i pregiudizi, hanno tracciato nuove strade inseguendo le loro idee e lottando per esse.
Il timore della propria diversità rende passivi e la passività è nemica della felicità!
Quando è stata l’ultima volta che hai fatto qualcosa di diverso da chi ti circondava?
Per chiedermi ulteriori informazioni e/o fissare un colloquio ( in studio a Torino o, a seconda dei casi, in videoconsulenza), puoi contattarmi tramite questa pagina.
Nei periodi in cui siamo maggiormente stressati, disorientati e pensierosi, la qualità del sonno tende a peggiorare: per qualcuno si tratterà di insonnia, per altri di sonno disturbato da frequenti risvegli, altri ancora faranno incubi per cui si risveglieranno più stanchi di prima (per alcuni suggerimenti su come addormentarsi meglio vi rimando a un precedente articolo)
Parafrasando un celebre personaggio della televisione italiana, potremmo viceversa affermare che i sogni aiutino a vivere e a dormire meglio. Infatti, secondo quanto emerso da una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica Sleep science and practice , avere uno scopo nella vita agevolerebbe la qualità del sonno. In particolare, nello studio sono emersi miglioramenti in coloro che soffrivano di insonnia.
Avere un obiettivo ci rende entusiasti, indipendentemente dal suo valore oggettivo. I traguardi che ci prefissiamo, siano essi “grandi” o “piccoli”, ci fanno sentire vivi, focalizzati, energici. Possono riguardare l’ambito personale, lavorativo, familiare, relazionale,… l’importante è che abbiano per noi stessi un significato. Si tratta di avere una luce guida, una stella polare.
Spesso mi sento dire che non è così immediato trovare uno scopo nella vita: alcune persone, specie nei momenti di maggior sofferenza, mi dicono che la loro intera esistenza appare priva di senso. In questi casi il mio consiglio è di partire da un obiettivo, anche piccolo, della quotidianità e che magari era stato accantonato in precedenza, come ad esempio:
riprendere o cominciare un nuovo hobby: leggere, scrivere, cucinare, disegnare, scattare fotografie, coltivare una pianta,… l’importante è che si tratti di un’attività che generi in noi gioia nel momento in cui la eseguiamo, indipendentemente dalla performance raggiunta. Dipingere con gli acquerelli vi fa sentire felici anche il risultato è esteticamente brutto? Avete un manoscritto che non vedrà mai la luce fuori dal cassetto del vostro comodino? Riprendete queste attività e immergetevi nelle emozioni positive che vi fanno provare.
avere cura di sé: a chi è già in terapia, ricordo che questa scelta rappresenta una pietra miliare in questa categoria e che il resto verrà quasi in automatico! Molte persone, soprattutto donne, mi dicono di vergognarsi anche solo a pensare di mettersi lo smalto alle unghie in un momento di così tale sconforto. Invece è proprio nei momenti peggiori che dobbiamo imparare ad amarci e a volerci bene, mentalmente, spiritualmente e fisicamente, quindi ben venga la cura del proprio aspetto: un nuovo taglio di capelli, un bagno caldo e profumato a casa, un vestito colorato,…
riscoprire la socialità offline: in un’epoca in cui ci basta un clic per contattare tutto il mondo, molte persone rinunciano a interazioni sociali reali perché non hanno persone disponibili oltre lo schermo. Sono tutte quelle situazioni in cui pensiamo: “c’è questo concerto/spettacolo/mostra interessante ma non trovo nessuno che voglia venire con me…”. Se è pur vero che non possiamo pretendere di avere sempre qualcuno con i nostri stessi identici gusti, è importante imparare a fare ciò che ci piace, senza il timore di essere giudicati perché ci rechiamo da soli a un evento. C’è la presentazione di un libro interessante? Partecipate, potrebbe essere un ottimo contesto in cui incontrare persone nuove, unite dalla vostra stessa passione.
Man mano che la nostra vita si riempe di questi micro-obiettivi, possiamo (ri)cominciare a ragionare anche in termini di macro-obiettivi , cioè quei progetti più a lungo termine e che richiedono maggiore investimento emotivo, temporale e anche di risorse. Rientrano in questo gruppo l’inizio di un nuovo percorso di studi, la ricerca di lavoro, l’acquisto di una casa etc.
Per individuare il nostro scopo nella vita dobbiamo prima farci alcune domande:
che cosa mi appassiona?
che cosa mi da energia?
quali sacrifici sono disposto/a a fare per raggiungere il mio scopo?
a quali risultati (realistici) voglio aspirare?
Una volta delineato il nostro obiettivo, sarà importante crearci una rete di sostegno, cioè l’insieme di quelle persone che hanno fiducia in noi e ci sosteranno nel nostro cammino, anche dicendoci cose che non vorremmo sentire ma di cui abbiamo bisogno.
Altra categoria di persone importanti sono gli ispiratori, ovvero coloro che prima di noi hanno raggiunto un obiettivo simile e che possiamo prendere come esempio (che non vuol dire copiare in maniera acritica!), anche se non li conosciamo in maniera diretta.
Bene, il mio obiettivo di oggi era scrivere questo articolo e sistematizzare un insieme di pensieri che aspettavano di trovare una sistemazione. E chissà che queste parole non abbiano innescato una piccola scintilla a voi che leggete: attendo i commenti con i vostri micro/macro obiettivi! 🙂
Sei in una fase di indecisione della tua vita? Senti la necessità di un cambiamento? Puoiprenotare un colloquio presso il mio studio telefonando al numero 3454551671 o compilando questo modulo.
Non sempre una condotta alimentare errata soddisfa completamente i criteri diagnostici per i Disturbi del comportamento alimentare quali anoressia,bulimia, binge eating disorder, giusto per citare quelli maggiormente conosciuti. Ciò non significa però che questi comportamenti vadano trascurati o ignorati.
Per alimentazione disturbata si intende un insieme di comportamenti alimentari non sani, che possono esprimersi in diverse modalità. Tra le più comuni troviamo la pianificazione meticolosa dei pasti futuri, il conteggio delle calorie, la diminuzione o eliminazione drastica di alcuni cibi con una motivazione ufficialmente etica ma che in realtà sottintende la volontà di perdere peso, il salto dei pasti, le diete restrittive in cui un nutriente (soprattutto grassi e/o carboidrati) vengono tagliati senza motivazione medica. Inoltre, la persona decide quasi ” a comando” quando sentirsi sazia o meno, senza ascoltare il proprio fisico, si pesa continuamente, cerca di tamponare il senso di fame con bibite non caloriche o simili.
Una recente ricerca a cura dell’Università di Helsinki ha evidenziato che un’alimentazione disturbata da parte dei giovani adulti può causare effetti a lungo termine sulla salute. In particolar modo, tale condotta si è mostrata predittiva di obesità, complicazioni mediche in generale, svalutazione del sé, bassa autostima e conseguente peggioramento del benessere psicologico. Gli autori dello studio sottolineano l’importanza di una buona diagnosi e di un trattamento efficace, anche in assenza di un vero e proprio Disturbo del comportamento alimentare nel senso clinico del termine, negli uomini così come nelle donne.
Un’alimentazione disturbata non solo può esitare in un Disturbo del comportamento alimentare ma può già da sola porre le basi per un peggioramento della qualità della vita. Chi ne soffre lega la sua autostima alla capacità di “comandare” la fame, anche a costo della propria salute. Al contempo, aumenta il rischio di utilizzare il cibo per andare a zittire le emozioni negative, in assenza di strategie più efficaci (il cosiddetto emotional eating).
Non rappresentando un disturbo vero e proprio può essere più subdola e difficile da riconoscere, tant’è che la persona spesso fa fatica a identificarla come comportamento problematico. Se fatta notare, la restrizione alimentare viene giustificata con una motivazione esterna e descritta come occasionale.
Una buona diagnosi è fondamentale per ritrovare un rapporto sereno con l’alimentazione e con se stessi, imparando ad utilizzare modalità più sane per prendersi cura del proprio fisico, prevenendo problemi che – come visto sopra- possono avere ricadute più intense ed estese nel tempo.
Se ti ritrovi in questo articolo e desideri intraprendere un percorso in cui lavorare sulle tue risorse e raggiungere un rapporto più sano con il cibo, puoi fissare un colloquio presso il mio studio a Torino ( o, a seconda dei casi, in videoconsulenza) telefonando al numero 3454551671 o compilando questo modulo. Inoltre, ti ricordo che su Facebook è attivo il gruppo Fame emotiva: gestiamola insieme , dove potrai leggere notizie, approfondimenti e spunti di riflessione condivisa.
La primavera sta arrivando e con lei la voglia di rinnovamento. Le ore di luce aumentano, la natura inizia a rifiorire e siamo pronti a prenderci un po’ più cura di noi stessi.
Per festeggiare la nuova stagione ho pensato di offrire la possibilità di un primo colloquio orientativo gratuito presso il mio studio a Torino. Gli appuntamenti possono essere fissati e svolti dal 15 al 31 marzo (previa disponibilità) e hanno durata di 45 minuti. Per motivi organizzativi non possono usufruire di questa offerta coloro che hanno già svolto colloqui con me in passato (gratuiti o meno).
Per prenotare il vostro colloquio e/o richiedermi ulteriori informazioni potete telefonarmi al numero 3454551671 oppure compilare il form presente in questa pagina, specificando l’oggetto della richiesta.
Se volete potete condividere con i vostri contatti il link della relativa offerta su Facebook.
Con il termine autosabotaggio si definiscono una serie di comportamenti, azioni e strategie messe in atto per limitare le nostre potenzialità, in modo tale da avere un alibi esterno in caso di successo.
Vediamo meglio in cosa consiste, attraverso tre storie provenienti da differenti ambiti (NB nomi di fantasia)
Lara, 22 anni, studentessa universitaria. Durante la sessione esami si divide tra una festa e l’altra, fa piccoli viaggi, prende una serie di impegni che la tengono lontana dai libri. Nel poco tempo che le resta è sempre stanca e non riesce a concentrarsi. Puntualmente, gli esami vanno male ma lei trova sempre qualche scusa: il problema non sono le sue competenze o capacità, la colpa è degli eventi che non le hanno dato tempo e modo di studiare.
Piero, 37 anni, consulente finanziario. Si rammarica perché tutti i suoi amici si stanno “sistemando”, mettono su casa, si sposano e fanno figli. Sembra che l’unico sfortunato sia lui. Eppure le opportunità non gli mancano: ha una vita sociale molto attiva, fa sport e frequenta ambienti variegati. Ogni volta che inizia una nuova frequentazione nel giro di poco riesce a farla deteriorare; assume atteggiamenti per cui irrita le donne che puntualmente non vogliono più avere a che fare con lui e così trova conferma alle sue supposizioni: in amore per lui va sempre tutto male.
L’ Atletico Calcio 2017 è una formazione che milita in serie A da alcuni anni. A ogni campionato viene inserita tra le possibili rivelazioni della stagione: parte bene e viene osannata dalla critica, fino alla prima sconfitta. Inizia a farsi condizionare dai titoli dei quotidiani sportivi che iniziano a definirla come un bluff, una delusione. Di qui in avanti scende in campo titubante, distratta, timida. In particolare, non riesce a gestire le situazioni di vantaggio: arriva sempre l’errore grossolano in difesa, il fallo ingenuo in area di rigore a far rimontare l’avversario. Nella conferenza stampa di fine gara c’è sempre un episodio cui dare la colpa: un momento di disattenzione, un errore arbitrale, un giocatore non in perfetta forma.
In queste storie possiamo vedere l’autosabotaggio declinato in diversi campi: studio, relazioni sentimentali e prestazioni sportive.
Com’è possibile che la paura di fallire provochi proprio il fallimento? Un fallimento è sempre difficile da accettare poiché mette in discussione la propria autostima, sia in termini di competenze che di impegno. I protagonisti dei nostri esempi fanno tutti la stessa cosa: iniziano a creare condizioni esterne cui dare la colpa dei loro insuccessi. Vediamo come è andata a finire:
Lara è sempre stata una studentessa modello, al liceo tutto le veniva facile con il minimo sforzo. Sa che all’università è diverso e dovrà impegnarsi molto di più: ha scelto una facoltà prestigiosa che l’ha portata lontana da casa, con grosso impegno economico da parte della famiglia. Non superare un esame significa mettere in discussione se stessa e le proprie competenze. Si è resa conto che bere troppo alle feste serviva a tenerla “intontita” il giorno dopo e avere la scusa per non studiare. Ha posticipato l’acquisto dei libri e il reperimento degli appunti per poi non avere tempo a sufficienza per studiare. “Agli esami andavo male perché non studiavo..e non perché ero antipatica al professore“. Ora si sta focalizzando sul suo metodo di studio ed evita le distrazioni sotto esame. Anche se dovesse andare male, userà il risultato come esperienza per correggere ciò che ancora non va bene e comprendere dove migliorare per la volta successiva, senza farne drammi esistenziali.
Piero racconta di aver avuto una forte delusione sentimentale: credeva di averla superata ma ora si rende conto che da lì è iniziata la sua paura di non essere “abbastanza” per una relazione. Non capisce cosa possano trovare in lui le donne brillanti e affascinanti con cui inizia a uscire. La sua insicurezza lo porta ad “anticipare la rovina prima che tutto vada in malora“: non richiama per giorni una ragazza cui tiene moltissimo perché sa che “tanto andrà male lo stesso,almeno così evito sorprese e lo so già“, quando finalmente riesce a contattarla le propone di andare a cena salvo disdire all’ultimo minuto. Ovviamente questi comportamenti fanno desistere qualunque donna dall’idea di avere a che fare con lui. Piero così ha la conferma che “tutto va sempre male, l’amore è una gran fregatura” e guarda con un misto di invidia e sofferenza le vite altrui. Adesso ha preso atto delle sue insicurezze e vuole provare a impegnarsi, utilizzando in maniera positiva la malinconia che avverte per la sua solitudine.
L’allenatore dell’Atletico Calcio 2017 ha sempre vissuto con apprensione le critiche giornalistiche e degli addetti ai lavori. Sentire glorificare la sua squadra ancora prima di iniziare a giocare lo ha messo sotto i riflettori ed è una condizione che vive male perché teme di rovinare tutto. Inconsapevolmente ha trasmesso questa insicurezza ai suoi giocatori sia in allenamento che in partita. Lui stesso è stato il primo a dare troppo peso ai singoli episodi: “dare la colpa a un rigore subito è più facile perché non devo mettermi in discussione come tecnico: non siamo noi ad aver giocato male, è stato l’arbitro ad averci punito ingiustamente!“. Ha capito come evitare di farsi condizionare dalla stampa: legge meno i giornali e pensa di più a come sviluppare il potenziale della squadra. Non gli importa se un lunedì viene caricato di aspettative e quello dopo trattato come un dilettante. ” La mia paura di vincere era la paura di essere ricoperto di elogi che potevano essere cancellati da un momento all’altro. Se vinciamo è perché lo abbiamo meritato per il lavoro svolto, se perdiamo vuol dire che dobbiamo rimboccarci le maniche e capire cosa è andato storto.”
In pratica, come facciamo a smettere di autosabotarci? Partiamo da alcune domande:
qual è l’obiettivo che non riesco a raggiungere?
ci sono delle opportunità in merito che sto trascurando?
quanto mi sto impegnando realmente?
sto creando delle condizioni esterne che mi allontanano da questo obiettivo?
cosa metterei in discussione di me se non dovessi raggiungerlo?
come posso rinforzare queste insicurezze?
Ovviamente ogni situazione è a sé; riconoscere però la nostra percentuale di impegno e la tipologia di impedimenti che stiamo creando è un buon punto di partenza. Ci saranno casi in cui l’autosabotaggio è solo una strategia momentanea volta a coprire una preoccupazione transitoria. In altre circostanze si tratta di una difesa perpetua contro ansie ben più profonde e rischia di condizionare a lungo termine la propria autorealizzazione e quindi, il proprio benessere.
Se l’autosabotaggio sembra essere diventato ormai una costante della vita e vuoi capire come imparare a farne a meno, puoi prenotare un colloquio ( presso il mio studio a Torino o, a seconda dei casi, in videoconsulenza) telefonando al numero 3454551671 o compilando questo modulo.
Quando intraprendiamo un’attività creativa, una delle motivazioni principali è che ci fa stare bene. Che si tratti di suonare, cucinare, ricamare, dipingere…spesso ciò che ci interessa realmente non è tanto la qualità del risultato, quanto più le sensazioni positive innescate da queste azioni.
A stabilirlo in maniera più scientifica ci ha pensato una ricerca del Dipartimento di Psicologia dell’ Università di Otago ( Nuova Zelanda) che ha coinvolto 658 studenti universitari. Ai partecipanti è stato chiesto di compilare un diario della durata di 13 giorni in cui registrare esperienze ed emozioni.
I ricercatori hanno riscontrato che gli studenti si sentivano più entusiasti del solito nei giorni successivi a esperienze creative. Questa condizione è stata definita flourishing , cioè un “rifiorimento” che permette di funzionare in maniera positiva, sviluppandosi al meglio delle proprie possibilità.
Le attività svolte erano di vario tipo: comporre canzoni, scrittura creativa, lavoro a maglia e all’uncinetto, cucinare, dipingere, colorare, composizione grafica, suonare,…
La dottoressa Tamlin Conner, coordinatrice di questo studio, sottolinea come già in letteratura ci sia una certa evidenza sui collegamenti tra emozioni e creatività. In questo caso si è riscontrato che non sono tanto le emozioni positive ad aumentare la creatività, bensì sarebbe l’esperienza creativa ad incrementare il benessere dei giorni successivi. Si tratta di un insieme di gioia, felicità, coinvolgimento, eccitazione ed entusiasmo. Ovviamente un simile stato d’animo può predisporre a un incremento di creatività, anche se, come abbiamo visto, il legame non è diretto: per questo i ricercatori parlano di “spirale” del benessere e della creatività.
Quali sono le attività che vi fanno stare meglio? Quali sensazioni positive sperimentate successivamente?
…Se vi va, rispondete con un commento qui sotto!
Nel 2014 un gruppo di ricercatori dell’ UniversityCollege di Londra aveva cercato di misurarla matematicamente, formulando l’ equazione della felicità . La formula ottenuta evidenziava il ruolo delle aspettative.
Questa ricerca è stata portata avanti e i risultati aggiornati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature Communication: a influenzare la nostra felicità è anche la percezione di eventuali disuguaglianze tra le persone che ci circondano.
Lo studio ha coinvolto 47 partecipanti che non si conoscevano prima di allora e che sono stati suddivisi in piccoli gruppi. Ogni gruppetto doveva portare a termine una serie di compiti: in uno di questi veniva richiesta la disponibilità a dividere una piccola somma di denaro in maniera anonima con un altro partecipante; in un altro era prevista una piccola scommessa monetaria dove veniva comunicato sia il risultato proprio che quello dell’altro partecipante. Quindi ciascuno sapeva quanto aveva vinto o perso per sé e quanto aveva vinto o perso l’altro. Nel corso dell’esperimento veniva “misurato” a intervalli regolari il livello di felicità.
I risultati hanno mostrato che la generosità non dipendeva tanto dalle preferenze verso una persona quanto a caratteristiche proprie di personalità. Coloro la cui felicità era influenzata dalle avverse sorti altrui tendevano a essere più generosi, donando circa il 30% del denaro. Al contrario, chi era meno felice quando otteneva meno degli altri donava solo il 10%. Gli autori ipotizzano che questi risultati possano essere correlati rispettivamente a senso di colpa e a invidia.
“ I nostri risultati suggeriscono che la generosità verso gli estranei è legata a quanto la nostra felicità risente dalle ineguaglianze che sperimentiamo nella nostra vita quotidiana. – dichiara Archy de Berker dell’UCL Institute of Neurology- ” Questa è la prima volta che la generosità delle persone viene collegata direttamente a come la disuguaglianza influenza la loro felicità. Gli economisti hanno auto difficoltà a spiegare perché alcune persone sono più generose di altre e il nostro esperimento fornisce una spiegazione. ”
La nuova formula della felicità:
La prima riga era stata precedentemente formulata e contemplava le tre variabili (w):aspettative, riconoscimenti attuali e risultati passati. La seconda riga aggiunge le due variabili legate a senso di colpa e invidia nei casi di disuguaglianza.
Un ulteriore evoluzione di questa ricerca, concludono gli autori, potrebbe essere un utilizzo del compito per misurare l’empatia ed aumentare quindi la conoscenza scientifica riguardo ai disturbi di personalità in cui sembra essercene un deficit, come ad esempio il disturbo borderline.