Il mio primo incontro con la lingua inglese ( prima media, circa 25 anni fa…) iniziò con una lettera maiuscola sulla lavagna:

L’insegnante, dopo essersi presentata, ci spiegò che quella vocale era la prima persona singolare e che doveva essere sempre scritta con la maiuscola, anche a metà frase. Davanti a 50 occhi straniti aggiunse: “per non dimenticarvene, pensate all’importanza che dovremmo dare a noi stessi: la nostra persona merita la maiuscola”
Quando lavoro sull’autostima dei miei pazienti , spesso mi torna in mente questo piccolo aneddoto scolastico. Ancora non lo sapevo, ma la “I in capital letter” sarebbe stata una regola non solo ortografica ma soprattutto di vita.
Che importanza dai a te stesso?
Quando mettiamo in secondo piano i nostri pensieri, le emozioni e i vissuti è come se stessimo scrivendo “i” con la lettera minuscola. Una vocale che si perde in mezzo a una frase: perché qualcuno dovrebbe attribuirci un’importanza che noi per primi ci stiamo negando?
La paura dell’immodestia
L’obiezione che più spesso mi viene mossa dai pazienti è la seguente: se inizio a potenziare la mia autostima diventerò una persona immodesta che si reputa migliore degli altri e perderò i miei affetti. Dare valore a se stessi non significa toglierlo agli altri; nel momento stesso in cui smettiamo di fare paragoni impariamo a sbloccare il nostro potenziale.
Chi si ama è egoista?
La seconda protesta riguarda il timore di diventare di colpo egoisti. In alcuni contesti familiari o socioculturali viene trasmesso il messaggio che chi non mette sempre l’Altro davanti al Sé è una brutta persona. Anche in questo caso, amare se stessi non significa diventare “cattivi” con gli altri: autostima significa anche lavorare sui sensi di colpa e sulla loro funzione.
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