Ho meditato a lungo se pubblicare o meno questo post perché quando si parla di “dolore” e “alibi” è facile essere fraintesi. Poi ho pensato che questo rischio merita di essere corso e affrontato cercando di essere il più chiara possibile.
Come potrete immaginare, per lavoro ho a che fare con una certa quantità di dolore al dì, in forme più o meno tangibili. Il dolore insostenibile spesso è la causa per cui le persone mi chiamano e, giustamente, vorrebbero alleviarne il peso. Molto altro dolore mi circonda nelle interazioni quotidiane extra lavorative.

Tutti abbiamo sofferto e – temo non sia altrimenti – ancora soffriremo nella vita, chi più chi meno. A fronte di un evento oggettivamente simile, gli effetti soggettivi sono diversi.
Fare la classifica del “chi ha sofferto di più” lascia il tempo che trova. Non è una gara, è la vita.
Quando utilizziamo il dolore per sottrarci alle sfide della vita, per ferire chi ci vuole bene, sabotare noi stessi,… non facciamo altro che alimentare un fuoco che ci danneggia e che alla lunga potrebbe far male a chi cerca di starci accanto. Aggiungiamo legna da ardere e poi ritraiamo la mano, come se fossimo animati da una forza invisibile che ci fa dire “ma io sono fatto così, che cosa posso farci…ho sofferto tanto…”. Per quanto tempo ancora vogliamo alimentarlo?
Il dolore non va nemmeno negato, fa comunque parte di noi e di ciò che siamo. Le situazioni difficili ci insegnano sempre qualcosa, che sia imparare a riconoscerle o comprendere come affrontarle. L’utilizzo per così dire “improprio” della sofferenza è in quella passività per cui pensiamo di non potercela mai più scrollare di dosso.
Il miglior amico della sofferenza è, per l’appunto, l’immobilità.
Le cicatrici ci ricordano che siamo sopravvissuti, che ce l’abbiamo fatta nonostante tutto e tutti. Ci sono stati giorni di buio che non sembravano passare mai e lacrime che non smettevano di scorrere. Quale miglior modo per onorarle, se non tornare a vivere?
In psicoterapia si lavora per rielaborare gli eventi dolorosi e le emozioni ad essi connessi. Chiedere aiuto è un punto di svolta fondamentale per riappropriasi della propria vita anziché farla fluire in maniera passiva. Per fissare un colloquio presso il mio studio a Torino ( o, a seconda dei casi, in videoconsulenza) telefonare al numero 3454551671 o compilare questo modulo.
Prima le nostre nonne si creavano il loro “alibi”in quei vestiti neri che non si toglievano più,adesso…tanti muri…invisibili,ognuno nel suo mondo costruito nei minimi particolari.
Buon lavoro
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Grazie per il commento, la metafora dei vestiti neri è davvero azzeccata. Buona giornata e a presto
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