Quante volte ci è capitato, nel tentativo di consolare qualcuno in una fase difficile, di utilizzare l’espressione “So esattamente come ti senti…quando è successo a me, io provavo queste emozioni, ho attuato questi comportamenti…“? E , in percentuale, quante volte era corrispondente al vero? Quante, al contrario, era un modo come un altro per cercare di riempire una dolorosa conversazione in cui avvertivamo il pericolo di non sapere cosa dire?

Certo, in queste circostanze siamo mossi dalla buona fede: condividere con l’altro un pezzo della nostra esperienza è un tentativo di mostrarci empatici, trasmettere fiducia e vicinanza. Il punto però è che non solo ogni situazione a sé, ma anche che così facendo rischiamo di sviare l’attenzione, portando su noi stessi un discorso che aveva come protagonista il nostro interlocutore. Indossiamo immediatamente i suoi panni, senza nemmeno dargli il tempo di dire esprimere a pieno il suo vissuto, presi come siamo dalla smania del fare. Dimentichiamo l’importanza dell’esserci: io sono qui con te, ti ascolto, non ti giudico e non ho fretta di darti consigli.
Cosa fare dunque in questi casi?
Per prima cosa, proviamo a fermarci e a stare sul momento. Valorizziamo il contenuto che ci viene trasmesso dall’altro, evitando frasi che inizino con “Io…“. Diamo consigli solo se pertinenti e richiesti, astenendoci dal dispensare soluzioni universali.
Infine, ricordiamoci che non sempre è necessario dire qualcosa, anzi: a volte sono più efficaci un abbraccio, una carezza, uno sguardo accogliente.