La maggior parte di chi è in procinto di iniziare una terapia sa perfettamente che lo psicoterapeuta non possiede la bacchetta magica e quindi non basteranno un paio di sedute per essere felici come per incanto.
Nonostante questo, è innegabile che vi sia una speranza di guarigione rapida insieme a un desiderio di non soffrire parlando di temi dolorosi.
Per esemplificare meglio il senso della psicoterapia, proviamo a immaginarla come un viaggio.
La preparazione
C’è chi ama informarsi scrupolosamente sui luoghi che andrà a visitare, acquistando guide e programmando itinerari ben precisi; altri preferiscono farsi un’idea più generale e decidere poi sul posto come ( e se) organizzare le proprie giornate. Allo stesso modo, c’è chi si documenta con precisione sui terapeuti che intende contattare e sul loro orientamento teorico; altri invece scelgono di affidarsi in maniera più “istintiva” scegliendo un nominativo presente in un elenco online.
Le aspettative.
Alla vigilia di un viaggio possono esserci più o meno aspettative: voglia di rilassarsi, staccare dai problemi della quotidianità, conoscere posti nuovi, rivederne di noti, assaggiare nuovi cibi… La stessa cosa capita in terapia: ci si aspetta che il primo colloquio possa andare in un determinato modo, si teme di dover toccare subito un argomento scottante o, viceversa, non si vede l’ora di affrontarlo. Queste aspettative possono trovare realizzazione o restare insoddisfatte.
Il tragitto
Il viaggio ha i suoi tempi, a seconda di dove si è diretti. Così come ci sono persone che vedono il tempo del tragitto come perdita di tempo e altri invece come una gradevole componente del viaggio, anche nelle fasi preliminari della terapia si possono sperimentare vissuti simili. Alcuni pazienti trovano interessanti i primi colloqui perché hanno l’opportunità di ripercorrere la loro storia personale, familiare, relazionale; altri trovano questa parte anamnestica superflua e vorrebbero andare direttamente al cuore del problema, hic et nunc.
Gli intoppi
Per quanto si speri non capiti mai, anche nel migliore dei viaggi può capitare il piccolo intoppo: il problema burocratico in hotel, un pasto non perfettamente buono, la giornata di pioggia che impedisce un’escursione, il volo cancellato. Le reazioni possono essere diverse a seconda del carattere, delle esperienze pregresse e delle abitudini; lo stesso problema può rovinare l’intera vacanza a una persona ed essere del tutto innocuo per un’altra. In terapia gli intoppi possono essere quelle sedute in cui si parla di temi dolorosi: il terapeuta a volte deve toccare delle ferite per assicurarsi che il paziente abbia coscienza di quanto sia successo e verificarne poi la corretta guarigione nel tempo. In queste circostanze capita di uscire dallo studio con una sofferenza che a prima vista parrebbe immotivata e l’intero senso del percorso può essere messo in dubbio.
I compagni di viaggio
La terapia è un tipo di viaggio che prevede un compagno al proprio fianco (nb il mio metodo di lavoro ne prevede due nel caso di quella familiare e di coppia): non è possibile intraprenderlo in solitaria. Nel corso del tempo rivestirà ruoli diversi: potrà essere una guida, un allenatore, una figura quasi genitoriale. Saprà rinforzare le scelte positive e cercherà di scoraggiare quelle negative. In ogni caso non si sostituirà mai al viaggiatore perché lo scopo del viaggio è imparare a prendere in autonomia le proprie scelte, ovviamente purché non siano lesive per sé o per gli altri. Farà sempre leva sulle risorse positive, promuovendole ed enfatizzandole. Dovrà anche evidenziare le fragilità, non per colpevolizzare ma per accrescerne la consapevolezza. Rimarcherà i successi ottenuti ogni volta che il viaggiatore si sentirà smarrito, offrendo sostegno e accoglienza.
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